A seguito del DPCM del 9 marzo 2020, pubbl. in G.U. 09.03.2020, n. 62 SG, a tutti i cittadini italiani sono state imposte rilevanti limitazioni alla libertà di circolazione al fine di contrastare la diffusione del c.d. coronavirus. Il Decreto estende a tutto il territorio italiano le misure già previste dall’art. 1, DPCM dell’8 marzo 2020 (in G.U. 08.03.2020, n. 59 SG), dal 10 marzo 2020 al 3 aprile 2020.
Interessa in questa sede, in particolare, quanto previsto dall’art. 1, lett. a, del DPCM 08.03.2020 che impone di «evitare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita dai territori di cui al presente articolo, nonché all’interno dei medesimi territori, salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero spostamenti per motivi di salute. È consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza». In caso di violazione, senza che venga fornita idonea giustificazione alle autorità di polizia preposte al controllo, la legge applica sanzioni amministrative ai trasgressori.
L’assolutezza della previsione normativa sembrerebbe lasciare poco spazio ad interpretazioni. Tuttavia l’art. 51 c.p. chiarisce che «l’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità, esclude la punibilità».
In questo ristrettissimo spazio si colloca, il diritto del figlio di genitori non più conviventi ad una “piena bigenitorialità” e ad una corretta frequentazione di entrambi i genitori.
Preliminarmente però è opportuno, inquadrare la natura dell’istituto di cui stiamo trattando:
- il miglior interesse del minore è criterio preminente di giudizio, ai sensi dell’art. 3 della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo. Detto interesse coincide con la tutela prioritaria del diritto alla salute del figlio minore inteso come diritto ad un sano ed equilibrato sviluppo psico-fisico. Tale diritto include anche il diritto ad un equilibrato rapporto con entrambi i genitori (che trova la sua fonte, ancor prima che nell’art. 315-bisc., nell’art. 9 della citata Convenzione ONU sui diritti del fanciullo); quando i genitori non sono più conviventi, il suindicato diritto, previsto dall’art. 337-ter, co. 2, c.c., viene disciplinato e concretizzato nel provvedimento giudiziario che disciplina affidamento, collocamento e mantenimento della prole minorenne tutelando l’equilibrato rapporto dei figli con entrambi i genitori, salvo che ciò, nel concreto, sia contrario al loro interesse;
- il diritto di visita e alla bigenitorialità del figlio minore è tutelato non solo in sede civilistica, ma anche dal nostro Codice Penale: infatti, il mancato esercizio da parte del genitore non collocatario, o l’impedimento dell’esercizio da parte del genitore (prevalentemente) collocatario, sono perseguibili ai sensi degli artt. 388 e 570, co. 1°, c.p.;
- il diritto di visita, è un bene sottolinearlo, è un diritto del figlio, ancor prima che del genitore. Questo pertanto non può essere compromesso da parte di entrambi i genitori. Chi lo comprime, sta di fatto ledendo la salute del figlio e compromettendo la sua crescita equilibrata (e, potrebbe anche peraltro, essere chiamato a rispondere del relativo danno sia dal figlio, sia dall’altro genitore);
Il diritto alla bigenitorialità, deve tuttavia essere contemperato con il diritto alla salute fisica del figlio e, quindi, con il rischio che, visitando l’altro genitore o nel percorso, il figlio possa incorrere nel rischio di essere esposto al contagio. D’altro canto, le attuali misure vigenti, sono state emanate a tutela della salute pubblica, come prevede l’art. 32 della nostra Carta Costituzionale.
Nel bilanciamento dei diritti e degli interessi (tutti di natura costituzionale) coinvolti, peraltro, ci si imbatte in un confine tra quello che può essere definito “esercizio del diritto di visita del genitore non convivente”, come esplicazione del diritto alla bigenitorialità del minore e quello che può essere definito legittima astensione dal dovere (genitoriale) di esercitarlo ed ancora, ciò che invece non è espressione di nessuna delle due precedenti posizioni, e concreta quindi un abuso illegittimo.
Ma, trovandoci nell’ambito del bilanciamento tra diritti ed esigenze di tutela di diverso ma primario valore, allora non è forse erroneo cercare di individuare una sola regola che si possa applicare in ogni occasione? Non contemperare le singole esigenze, le reali condizioni di vita, l’attuale rischio per la salute del minore, potrebbe comportare il il rischio di comprimere eccessivamente diritti che non devono essere compressi, oppure, addirittura mettere a repentaglio diritti e benessere che avrebbero dovuto essere tutelati.
Certo è che il genitore prevalentemente convivente non può assumere la decisione unilaterale di sospendere o limitare la frequentazione con l’altro “schermandosi” dietro le vigenti prescrizioni restrittive della libertà di circolazione; né può chiedere al giudice di farlo in sua vece.
In questo caso, dovrebbe ritenersi che più che una regola unica e univoca, sarebbe opportuno individuare dei criteri-guida equi e ragionevoli, adeguati ai singoli casi di specie che possono variare di molto ogni previsione teoricamente adatta ad ampio raggio.
Sarà poi compito del singolo professionista, spiegare ai proprio Clienti (evidenziando nel caso, le possibili conseguenze dei comportamenti che saranno assunti), adattandoli al caso concreto e al momento in cui il singolo comportamento deve essere adottato.
Alcune linee guida, dettate dal buon senso e dalla volontà di contemperare più esigenze, su più fronti tra l’altro, potrebbero essere queste:
- in un momento di confusione “complessiva e generale”, in cui il minore, viene di fatto, sradicato dalle sue abitudini quotidiane, l’eliminare completamente una delle più importanti figure di riferimento potrebbe ovviamente comportare un ulteriore senso di smarrimento e disagio nel medesimo che peraltro, potrebbe anch’esso essere a carico del genitore prevalentemente collocatario, che si troverebbe a dover gestire integralmente il figlio senza poter far affidamento su nessuno;
- la valutazione della reale situazione di fatto in cui ci si muove: se ad esempio il trasferimento da una casa all’altra, può avvenire con un’auto privata, senza soste intermedie e senza incontrare persone: il che è evidentemente diverso dal caso in cui si debbano necessariamente utilizzare mezzi pubblici o a piedi;
- in caso di impossibilità di movimento, se sia possibile comunque supplire alla frequentazione, mediante l’utilizzo di mezzi alternativi come le videochiamate, ad esempio, fatti salvi eventuali piani di “recuperi” successivi, da programmare tenendo sempre in considerazione le esigenze in via principale del minore e poi dei genitori che devono far fronte all’organizzazione del proprio tempo.
A titolo esemplificativo: l’opporre un rifiuto motivato in ordine al DPCM 09.03.2020 ad accompagnare il figlio a casa dell’altro genitore, in una situazione di aperta campagna e di trasporto in macchina, in un tragitto che preveda casa a casa, in una zona con pochissimi contagi, potrebbe configurare un abuso e una violazione dei doveri genitoriali. Al contrario, la pretesa del genitore di avere il figlio a casa propria, sapendo che dovrà attraversare una città, esponendolo alla reale possibilità di essere contagiato sui mezzi pubblici, appare una pretesa non corretta e rischiosa per la salute del minore.
Questo, necessariamente, porta a fare altre considerazioni, sul principio di eguaglianza e sulla sua effettiva declinazione: perché in questa situazione sono favoriti coloro che possono permettersi il trasporto dei figli con un’auto privata e sarebbero,invece, esclusi coloro che devono necessariamente avvalersi di mezzi pubblici.
Le valutazioni, guidate da un sano dialogo tra avvocati, non possono che fondarsi su un alto senso di responsabilità e su un minimo dialogo adulto tra i genitori, anche in quei casi dove vi è una forte conflittualità, magari con l’ausilio anche di professionisti quali mediatori famigliari o psicoterapeuti, .che devono essere resi ben consapevoli che i comportamenti abusivi, oppositivi ed eccessivamente rigidi potranno essere valutati, successivamente, ai sensi dell’art. 709-ter c.p.c. o, nei casi più gravi, ai sensi degli artt. 330-333 c.c.
In questo attuale momento storico-sociale, diversi Tribunali nel nostro Paese, hanno espresso pareri discordanti circa il diritto di visita e la garanzia della sua effettività in questo momento di emergenza Covid-19. A titolo esemplificativo, due pronunce opposte che sottopongono alla nostra attenzione il generale clima di incertezza anche giurisprudenziale sul punto.
Il Tribunale di Milano con provvedimento emesso in data 11.3.2020, ha stabilito che:
“le previsioni di cui all’art. 1, comma 1, Lettera a) del DPCM 8 marzo 2020 n. 11 non siano preclusive dell’attuazione delle disposizioni di affido e collocamento dei minori, laddove consentano gli spostamenti finalizzati a rientri presso la ‘residenza o il domicilio’, sicchè alcuna ‘chiusura’ di ambiti regionali può giustificare violazioni, in questo senso, di provvedimenti di separazione o divorzio vigenti’.
In senso contrario, invece, poco dopo, il Tribunale di Bari con provvedimento emesso in data 26.03.2020 ha ritenuto di dover sospendere le visite figlio-padre residenti in Comuni diversi, ritenendo che:
- “non è verificabile, nel corso del rientro del minore presso il genitore collocatario, se il minore sia stato esposto a rischio sanitario, con conseguente pericolo per coloro che ritroverà al rientro presso l’abitazione del genitore collocatario;
- ‘il diritto – dovere dei genitori e dei figli minori di incontrarsi, nell’attuale momento emergenziale, è recessivo rispetto alle limitazioni alla circolazione delle persone, legalmente stabilite per ragioni sanitarie’.
Ci troviamo di fronte a due pronunce in netto contrasto. Chi ha ragione?
Bisogna tenere in forte considerazione il criterio del “buon senso genitoriale”, così, ho cercato di definire quell’atteggiamento che può in qualche modo essere utile, in questo momento storico ed emergenziale, a far fronte all’unità famigliare ed alla salvaguardia della salute psico-fisica del minore, che possa garantire una continuità affettiva con i figli e a permettere loro di poter continuare a vivere una sorta di “normalità”.