L’emergenza epidemiologica in atto in queste settimane e i conseguenti provvedimenti adottati dal Governo al fine di contrastare e contenere il diffondersi del virus Covid-19 (in particolare, il D.P.C.M. 11 marzo 2020 e, in modo ancor più incisivo, il D.P.C.M. 22 marzo 2020), validi per tutto il territorio nazionale, hanno iniziato da subito ad incidere pesantemente su rapporti commerciali e privatistici.
La chiusura degli esercizi commerciali e la sospensione di tutte le attività produttive, a eccezione di quelle espressamente previste dalla normativa (Cfr. D.P.C.M. 22 marzo 2020 e D.P.C.M. 26 aprile 2020) e l’esodo di centinaia di studenti e lavoratori dalle grandi città e dalle zone più contagiate verso il Sud del Paese, hanno generato il dubbio circa la possibilità di chiedere (e ottenere), la sospensione o riduzione dei canoni nei contratti di locazione di immobili ad uso commerciale e abitativo non utilizzati (o, meglio, non pienamente goduti, in ragione dell’obbligo di chiusura o dell’allontanamento verso zone con numero di contagi inferiore), evocando gli istituti giuridici dell’impossibilità sopravvenuta per causa non imputabile al debitore o dell’eccessiva onerosità della prestazione del pagamento del canone di locazione.
In questo momento storico-sociale di carattere emergenziale, è importante capire quale sia il reale ambito di applicazione dei suddetti istituti al contratto di locazione e di definire, da un punto di vista pratico, se vi sono e quali siano le azioni concretamente esperibili da parte del conduttore.
Nella maggior parte dei casi, il conduttore, in questo momento, non ha interesse a sciogliere il rapporto contrattuale e riconsegnare l’immobile al locatore, ma per ragioni di completezza, tengo a far presente comunque che, nell’estrema ipotesi in cui si volesse o dovesse sciogliere il vincolo contrattuale, il conduttore potrebbe recedere dal contratto di locazione invocando i gravi motivi ai sensi dell’articolo 27 della Legge 392/1978, comunque dando al locatore il preavviso di sei mesi. I gravi motivi che legittimano il recesso, da specificare nella comunicazione, devono essere (i) estranei alla volontà del conduttore, (ii) imprevedibili al momento della sottoscrizione del contratto di locazione e (iii) sopravvenuti e, in concreto, rendere estremamente gravosa la prosecuzione del rapporto.
In sostanza, i gravi motivi devono avere carattere oggettivo. Sul punto, in materia di locazione non abitativa, esiste giurisprudenza anche recente che conforterebbe la possibilità di invocare i gravi motivi che legittimano il recesso anche nell’attuale situazione di emergenza sanitaria, tenuto conto dei provvedimenti di contenimento adottati e delle loro drammatiche conseguenze per molte attività commerciali (Corte di Cassazione, Terza Sezione, Sentenza n. 23639/2019 che ha considerato legittimo motivo di recesso la “gravità della crisi economica determinatasi in relazione alla collocazione geografica dell’attività commerciale svolta all’interno dell’immobile locato”).
L’impossibilità sopravvenuta e l’eccessiva onerosità della prestazione nei contratti a prestazioni corrispettive
Ai sensi dell’articolo 1256 Codice Civile, “l’obbligazione si estingue quando, per causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile” e, se l’impossibilità di eseguire la prestazione è solo temporanea, “il debitore, finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell’adempimento”. Nel caso di impossibilità parziale, l’articolo 1258 Codice Civile prevede la liberazione del debitore con l’esecuzione della prestazione per la parte rimasta possibile.
Perché si configuri un’impossibilità di svolgere la prestazione, è necessario che questa sia:
- oggettiva, ossia riconducibile a una causa estranea al debitore e ai rischi dell’attività dallo stesso svolta;
- sopravvenuta e non prevedibile, secondo la normale diligenza, rispetto all’assunzione dell’obbligazione;
- inevitabile, non superabile cioè con ragionevoli sforzi.
Gli effetti dell’applicazione di tali principi nei contratti a prestazioni corrispettive sono previsti e disciplinati dagli articoli 1463 e seguenti del Codice Civile.
In particolare, l’articolo 1463 prevede che, in caso di impossibilità totale, il debitore impossibilitato non può chiedere la controprestazione e deve, eventualmente, restituire quanto ricevuto in esecuzione del contratto. Il contratto si risolve e la parte che si vede opporre il rifiuto di adempiere per impossibilità totale, dovrà agire per la ripetizione di quanto versato alla controparte, secondo le norme sulla ripetizione dell’indebito.
Diversamente, l’impossibilità parziale di una prestazione, che altera l’equilibrio tra le obbligazioni definite nel contratto, legittima la parte non impossibilitata a ottenere una proporzionale riduzione anche della propria prestazione, sebbene integralmente possibile (articolo 1464 Codice Civile).
In mancanza di situazioni che rendano la prestazione impossibile, totalmente o parzialmente, il debitore è senz’altro tenuto all’esatto adempimento dell’obbligazione contrattuale (articolo 1218 Codice Civile), esponendosi, in caso contrario, alla legittima richiesta di risarcimento dei danni subiti dalla controparte (articolo 1223 Codice Civile).
Individuate le coordinate giuridiche degli istituti in esame, occorre ora stabile se l’emergenza epidemiologica da Covid-19 e, ancor di più, i provvedimenti governativi sinora adottati costituiscano circostanze idonee a rendere impossibile determinate prestazioni, escludendo possibili azioni risarcitorie contro il debitore.
Se il dubbio non si pone per i contratti pubblici (per i quali il Decreto Legge 18/2020, c.d. Cura Italia ha precisato all’articolo 91 che “il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto [Decreto Legge 6/2020 convertito con modificazioni dalla Legge 13/2020] è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore), ben diversa è la questione per i rapporti commerciali tra privati, per i quali occorre valutare, caso per caso, l’incidenza delle misure di contenimento adottate nei rapporti contrattuali e l’effettiva possibilità di adempiere alle obbligazioni contrattuali.
Poiché, nel caso della locazione, la prestazione del cui adempimento si discute è senz’altro quella di pagamento del canone, giova ricordare che la Corte di Cassazione ha più volte ribadito che l’obbligazione pecuniaria è sempre oggettivamente possibile, potendosi configurare solo una impotenza economica del singolo debitore: l’impossibilità dell’obbligazione di pagamento ha dunque, per la Cassazione, carattere soggettivo e non oggettivo (tra le tante, Corte di Cassazione, Sezione Seconda Civile, Sentenza 15 novembre 2013, n. 25777 “In materia di obbligazioni pecuniarie, l’impossibilità della prestazione deve consistere, ai fini dell’esonero da responsabilità del debitore, non in una mera difficoltà, ma in un impedimento obiettivo ed assoluto che non possa essere rimosso, non potendosi ravvisare nella mera impotenza economica derivante dall’inadempimento di un terzo nell’ambito di un diverso rapporto”).
L’eccessiva onerosità sopravvenuta si realizza invece nel caso in cui un evento, straordinario e imprevedibile, estraneo alla normale alea del contratto, rende l’esecuzione della prestazione non impossibile, ma più onerosa rispetto a quanto prevedibile prima del verificarsi dell’evento stesso.
Per i contratti a prestazioni corrispettive, l’istituto in esame è disciplinato dall’articolo 1467 Codice Civile, che contempla la possibilità per la parte obbligata, per la quale l’adempimento diventi eccessivamente gravoso, di domandare la risoluzione del contratto. La controparte contrattuale può evitare la risoluzione proponendo di modificare le condizioni dell’accordo (intervenendo sulla propria prestazione o su quella di controparte), in modo da ristabilire l’equilibrio del rapporto.
Il ricorrere della eccessiva onerosità sopravvenuta richiede però la prova rigorosa del fatto che l’evento sopravvenuto ha “determinato una sostanziale alterazione delle condizioni del negozio originariamente convenuto tra le parti e della riconducibilità di tale alterazione a circostanze assolutamente imprevedibili” (Tribunale di Milano, Sezione Spec. Imprese, Sentenza 3 luglio 2014, n. 8878).
Anche in questi casi è pertanto necessario che sussista una eccessiva onerosità oggettiva della prestazione originariamente convenuta, non è invece sufficiente la mera difficoltà economica (soggettiva dunque) della parte tenuta all’adempimento.
Il conduttore è quindi legittimato a invocare l’impossibilità sopravvenuta e/o l’eccessiva onerosità dell’obbligazione, per sospendere il pagamento del canone di locazione o ridurre l’ammontare dello stesso?
A parere della scrivente, la risposta è negativa.
Occorre infatti considerare che (i) i divieti di esercizio delle attività produttive e commerciali imposti dai provvedimenti governativi delle ultime settimane non incidono in alcun modo sulla prestazione principale del locatore, che consiste nel mettere a disposizione del conduttore locali idonei all’esercizio dell’attività, e che (ii) nel rapporto sinallagmatico locatore-conduttore, il conduttore è legittimato alla sospensione o riduzione del canone di locazione unicamente in caso di inadempimento del locatore.
A quest’ultimo riguardo si veda, tra le altre, Corte di Cassazione, Sezione Terza Civile, Sentenza 27 settembre 2016, n. 18987 “In altri termini, al conduttore non è consentito di astenersi dal versare il canone, ovvero di ridurlo unilateralmente, nel caso in cui si verifichi una riduzione o una diminuzione nel godimento del bene, e ciò anche quando si assume che tale evento sia ricollegabile al fatto del locatore.
La sospensione totale o parziale dell’adempimento dell’obbligazione del conduttore è, difatti, legittima soltanto qualora venga completamente a mancare la controprestazione da parte del locatore, costituendo altrimenti un’alterazione del sinallagma contrattuale che determina uno squilibrio tra le prestazioni delle parti”.
L’immobile locato, sebbene non accessibile a lavoratori e al pubblico, permane nell’esclusiva disponibilità del conduttore, che ivi custodisce beni e mezzi di produzione.
Lo stesso Decreto Cura Italia, all’articolo 65, prevedendo a favore del conduttore un credito d’imposta per l’anno 2020 pari al 60% del canone di locazione relativo al mese di marzo 2020 per l’affitto degli immobili rientranti nella categoria catastale C/1 (botteghe e negozi), presuppone che non sia legislativamente previsto alcun diritto alla sospensione o riduzione del canone, che resta da pagare, regolarmente.
Difficilmente percorribile è pure la possibilità di invocare l’eccessiva onerosità sopravvenuta: il conduttore dovrebbe infatti dare la difficile prova che la chiusura dell’attività ha determinato una situazione di illiquidità tale da comportare la necessità di interventi straordinari per il rifinanziamento; non possono infatti ritenersi eccessivamente gravosi i tassi di interesse per l’accesso al credito bancario.
Quanto sopra per la locazione di locali commerciali vale, a maggior ragione,per le locazioni di immobili a uso abitativo: la sospensione delle attività lavorative e didattiche incide in maniera ancor più indiretta sul godimento da parte del conduttore del bene immobile locato. Nemmeno in questo caso sussiste un inadempimento del locatore che giustificherebbe la sospensione del pagamento dei canoni di locazione.
In caso di allontanamento (volontario) del conduttore dall’immobile locato i provvedimenti restrittivi adottati per il contrasto e il contenimento dell’emergenza epidemiologica rilevano per un diverso aspetto: ai sensi dell’articolo 1, comma 1, lett. b), del D.P.C.M. 22 marzo 2020 chi si è recato presso un’abitazione propria o di terzi in zone meno contagiate del Paese, dal 23 marzo 2020 è impossibilitato a far ritorno nell’immobile locato in città e zone con un più alto tasso di contagiati, se non per le specifiche le ragioni giustificative tassativamente individuate dal provvedimento stesso: comprovate esigenze di lavoro, assoluta urgenza e motivi di salute.
Anche in questo caso, pertanto, pur avendo a propria disposizione l’immobile dal punto di vista giuridico, il conduttore è fortemente limitato nel potere di goderne effettivamente. Nemmeno in questo caso però la situazione dà luogo, dal punto di vista giuridico, a impossibilità sopravvenuta di pagare il canone di locazione né a eccessiva onerosità.
Alla luce di quanto sopra, si deve concludere che il conduttore non potrà ragionevolmente contare su un diritto alla sospensione o riduzione del canone, salvo casi davvero eccezionali: qualsiasi iniziativa unilaterale del conduttore in tal senso sarebbe illegittima e costituirebbe un vero e proprio inadempimento contrattuale.
Quanto detto, non esclude naturalmente che le parti possano liberamente concordare, in ragione degli effetti della sospensione dell’attività sul fatturato dell’impresa, sospensioni, riduzioni o posticipazioni del pagamento del canone, rinegoziando modalità e termini dell’adempimento.
A parere di chi scrive, salvo eventuali future misure di diversa portata, la ricerca di un accordo con il locatore è certamente la soluzione più convincente oltre ad essere senz’altro quella giuridicamente più corretta: considerata l’eccezionalità degli eventi e della situazione che ci troviamo a vivere, la ragionevolezza e la buona fede delle parti interessate possono aiutare a trovare il rimedio che il diritto non offre.